Complicazioni in Libia Un nuovo fallimento per l’Onu L’importante nella politica internazionale è capire se non gli scenari che si aprono senza possibilità di anticiparli, almeno le intenzioni dei loro protagonisti. Dopo il consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla Libia, il mediatore incaricato Bernardino Leon si sentiva sicuro che la sua missione diplomatica di riuscire a ricucire i rapporti fra Tripoli e Tobruk, avrebbe potuto averse successo, nonostante finora si fosse rilevata completamente inutile. Peccato che nemmeno a 48 ore da quelle parole, gli islamisti di Tripoli hanno suonato le campane a morte per ogni ipotesi di nuovi negoziati di riconciliazione nazionale. Il premier del governo di Tripoli Omar al Hasi, ritiene che “non si possa più proseguire con il dialogo nazionale sponsorizzato dall’Onu”. La causa è esattamente quella che Leon riteneva utile per cambiare la posizione sul campo, ovvero i i raid aerei egiziani sulla Libia avvenuti contro Isis. Il governo ombra di Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ma sostenuto da Qatar e Turchia, non ne vuole sapere di quello `laico´ di Abdullah al Thani, a Tobruk, sostenuto da Egitto tramite il generale Khalifa Haftar e gli Emirati Arabi Uniti. La situazione è particolarmente complicata perché Al Hasi accusa gli ex gheddafiani - Khalifa Haftar comandò le truppe di Gheddafi in Ciad prima di cadere in disgrazia e riparare all’estero- di essere dietro la nascita dello Stato islamico a Sirte. Al Hasi sostiene infatti che i gruppi armati del califfato non sono altro che elementi legati al defunto colonnello Muhammar Gheddafi, ai suoi servizi segreti e a quelli di paesi vicini. In pratica un’invenzione per far intervenire l’Egitto sul campo e rafforzare il governo legittimo o considerato tale dalla comunità internazionale di Tobruk. Si esclude quindi che la minaccia dell’Isis possa portare all’unità nazionale, peggio si è insinuato il sospetto che l’Isis sia solo un burattino nelle mani di Tobruk, da che da qui a breve non ci stupiremmo una replica di Tobruk per cui in realtà a Tripoli si simpatizza con l’Isis. Il presidente Obama nei giorni scorsi ha fatto un magnifico discorso per spiegare come deve essere l’Islam sulla base dei suoi stessi valori a schiacciare i fondamentalisti dello Stato islamico. In linea toerica la considerazione è giustissima in quanto vi sono aspetti profondi di quelle religione e di quella civiltà che non possono convivere con una tale banda di assassini scatenati e vi sono più autorità islamiche schierate nel condannarli. Il problema è che l’Islam è profondamente diviso in tribù, comunità e Stati che rappresentano ciascuno interessi diversi e l’Isis sfrutta perfettamente queste divisioni a suo vantaggio, soprattutto promettendo una liberazione dalle catene che opprimono il popolo mussulmano, siano queste di natura occidentale o semplicemente dei regimi locali. Giordania ed Egitto sono i primi ad essere nel mirino. Questi reagiscono, gli altri non ci pensano proprio. Roma, 20 febbraio 2015 |